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Comunicazione e Disseminazione

  • Immagine del redattoreA. De Masi

De Masi: «Io candidato? No, grazie. Sono un metalmeccanico»

Intervista all’imprenditore. Che conferma: «Mi hanno chiesto di impegnarmi ma ho rifiutato». E rilancia il suo appello ai calabresi: «Con la nostra “omertà” abbiamo costretto i nostri figli a emigrare. Non tutto è perduto ma serve uno scatto di amore per la nostra terra. La politica? Finora non ha pensato al bene comune ma ad altri interessi»


Antonino De Masi ha il vizio di metterci la faccia. Quando combatte contro la ‘ndrangheta, quando lotta contro gli interessi usurari delle banche, quando sogna un’impresa etica. E questo vizio ha delle conseguenze. Scrive una lettera ai calabresi (non è la prima, potete leggerla qui) e subito arrivano inviti a sostenerne la candidatura (eccone uno) a presidente della Regione.

Il suo appello ai calabresi è parso ad alcuni un manifesto politico. E con partiti e movimenti già in fibrillazione in vista delle Regionali del 2019 qualcuno ha detto: «Ecco, si candida a governatore». Ci sta pensando davvero? «No, io sono un imprenditore, sono un metalmeccanico. Ho progetti e programmi di sviluppo importanti e impegnativi. Ho sulle mie spalle la responsabilità del presente e futuro dei miei lavoratori. Penso alle aziende, al loro domani e penso come posso contribuire a dare un futuro ai tanti lavoratori. Non mi sento caratterialmente portato per la politica, in quanto alla mediazione e al compromesso preferisco il lavoro sul campo, contribuendo fattivamente allo sviluppo del territorio».

C’è qualche forza politica che l’ha contattata per chiederle la disponibilità a scendere in campo? «Sì, non dico il nome, ma non è la prima volta, anche nelle precedenti elezioni nazionali. La mia risposta, per le motivazioni già esposte, è sempre stata, grazie sono onorato ma No».

Non gli interessa entrare nel Palazzo della Regione, ma fare qualcosa per la sua terra. Partendo dal suo ambito. E forse per iniziare a discutere di cosa conviene partire dai numeri. Che sono sconfortanti. Secondo Bankitalia sono 26mila i laureati “fuggiti” dalla Calabria negli ultimi dieci anni. Sono l’equivalente (forse qualcosa in più) dei dipendenti di Facebook, uno dei colossi del web, o di una multinazionale di medie dimensioni. Che prospettive può avere una regione che presenta un gap così spaventoso? «Veda, lei tocca il cuore del problema: questo dato rappresenta la gravità della nostra situazione. Le domande sono: perché non vi è occupazione in Calabria? Perché la Calabria non attrae aziende? Perché in Calabria non c’è un’economia che genera ricchezza ed occupazione? Aggiunga a ciò: per quali motivi un imprenditore dovrebbe investire in Calabria? Sono domande centrali. La criminalità è un elemento determinate che di fatto ammazza l’economia esistente e rende sterile il terreno ai nuovi insediamenti. Se non c’è sicurezza, se non c’è legalità non vi può essere un’economia sana, vera e competitiva. La legalità, e quindi la bonifica delle aree dall’influenza della criminalità, diventa un elemento essenziale per consentire la nascita di imprese e quindi di lavoro e sviluppo. Poi c’è il nodo delle infrastrutture. È un grosso freno: come si può essere competitivi senza strade e sistemi di collegamento? Come si può essere competitivi senza un’adeguata rete di tecnologie?»

Sono due questioni drammatiche e strutturali. Non le uniche purtroppo. «Certo, penso al sistema della formazione che è a volte molto distante dal mondo delle imprese in quanto spesso – anche per una mentalità spesso “arcaica” – vede nelle stesse un avversario e non invece uno strumento che può contribuire a generare ricchezza per tutti. E poi il mondo della ricerca spesso è molto lontano dal territorio. Vi sono esempi eclatanti in cui paesi molto “arretrati” in pochi anni sono riusciti ad adeguarsi tecnologicamente ai massimi livelli (penso alla Cina), nei quali intorno a distretti industriali si sono realizzati importanti centri di ricerca, Università, che lavorando in sinergia hanno potato valore aggiunto al sistema delle imprese. Oggi avere un tessuto produttivo è importante perché crea ricchezza, ma si deve avere un sistema che renda il tutto competitivo. La Calabria deve recuperare “gap” di arretratezza importanti consentendo al sistema produttivo di essere competitivo. Ciò è il cuore del problema».


"Il sistema della formazione è troppo distante dalle imprese"


Crede sia possibile recuperare questo ritardo? «Negli anni passati era più facile intervenire perché la “forbice” tra nord e sud era meno aperta, oggi i sistemi sono sempre più evoluti e spinti alla massima competività, ma certamente vi sono ancora margini di intervento. La mia è una analisi “fredda” dei fatti, ma vorrei aggiungere dal mio punto di vista un elemento. Se guardiamo indietro ci rendiamo conto quale “involuzione” questa terra abbia avuto, quanto passi indietro ha fatto, insomma ci rendiamo conto di come ci siamo ridotti. Ognuno di noi è responsabile di tutto ciò. Perché sino ad oggi noi tutti con la nostra “omertà”, con il nostro far finta di non vedere e sentire abbiamo contribuito a creare quella terra bruciata che ha reso questa regione moribonda. Le valigie ai nostri figli le abbiamo fatte noi, noi li abbiamo messi, spinti su un treno o su un aereo. Il nostro ruolo passivo ha costretto i nostri figli ad andare via. Di ciò dobbiamo purtroppo esserne coscienti».

Cosa può fare il sistema imprenditoriale per provare a invertire la tendenza, ammesso che sia possibile? «La battaglia è molto dura; dal mio punto di vista il sistema imprenditoriale deve: a) Prendere coscienza che la criminalità è il cancro che ha ammazzato il futuro dei nostri figli ed ha distrutto le speranze di un domani. La criminalità è il male, quindi l’imprenditore dovrebbe capire che se vuole un futuro deve fare scelte chiare e fidarsi delle Istituzioni. Deve denunciare, deve assumersi le responsabilità ed i rischi conseguenti, ma deve dire basta alle oppressioni. Basta silenzi e basta collusioni. b) Far prendere coscienza a tutti che le imprese sono una ricchezza del territorio e sono un bene da tutelare perché danno lavoro e quindi devono essere viste come un bene collettivo. Occorre creare intorno alle aziende un clima costruttivo, positivo. c) Puntare su settori con le eccellenze dove noi siamo o potremmo essere portatori di valore aggiunto e innescare filiere produttive che possano essere competitive. d) Creare dei percorsi in cui si punti alla qualità, con forme di certificazione in cui il “made in Calabria” diventa un plus e non un gap. e) Avvicinare alle imprese il sistema delle università per trasferire ricerca ed innovazione. f) Sfruttare i sostegni comunitari per creare eccellenze e portare le aziende ad essere competitive. g) Far in modo che in questo miracolo della rinascita ci crediamo prima noi. Questa “rivoluzione culturale” deve partire da noi e non dobbiamo certo aspettare il cavaliere straniero che ci salvi».


"Puntiamo su settori dove le eccellenze siamo noi"


Quanto pesano sul mancato sviluppo l’eccessiva dipendenza delle imprese dalle scelte e dai rapporti con la politica e un mercato troppo legato alle commesse pubbliche? «Questi territori come a tutti noto sono stati condizionati dalle organizzazioni criminali che poi, come emerso dalle varie inchieste, hanno anche influenzato la politica. Sino a oggi, da come si evince spesso dai fatti di cronaca, buona parte della politica non ha risposto ai bisogni della collettività, ma ad altri interessi. Come quindi può una classe politica che ha altre finalità rispetto al bene pubblico essere portatrice di sviluppo e futuro? Il sistema generato intorno al pubblico è un sistema figlio di percorsi di legalità? La risposta è sotto gli occhi di tutti, guardiamoci intorno».

La sua è una storia che si intreccia con la lotta alla sopraffazione mafiosa. Una lotta per la quale lei e le sue aziende avete pagato un prezzo molto alto. Cosa significa andare al lavoro e vedere ogni giorno le camionette dell’esercito davanti allo stabilimento? «Significa una forma di rabbia che a volte si trasforma in depressione ma poi in determinazione ad andare avanti. Sono innamorato della mia terra e della mia gente, ma sono furibondo per come una minoranza di persone ha ridotto questa regione. Oggi siamo la regione più “puzzolente” d’Italia, oggi essere calabresi significa essere portatori del male. Tutto ciò è stato possibile perché la maggioranza dei calabresi è stata silente, è stata uno spettatore passivo, mentre una piccola parte ha fatto vedere una realtà criminale che non ci appartiene. I calabresi sono un popolo pieno di dignità, di valori, fatto di persone che hanno costruito il loro domani con i calli alle mani, ma che hanno con il loro silenzio permesso ad altri di rubargli quel domani. Vivo una realtà folle, certamente non razionale, ma fortemente condizionata dalla mia determinazione nel voler sperare che le future generazioni possano vivere una realtà migliore».


"Non si può distruggere il porto di Gioia per le diatribe tra gli azionisti"


Sì è detto così tante volte che dal porto di Gioia Tauro passa il futuro della Regione che ormai la frase sembra diventata uno slogan quasi vuoto. Con quali scelte strategiche si potrebbe riempire di senso e prospettiva il porto? «Gioia Tauro era ed è il cuore dello sviluppo della nostra Regione e dal mio punto di vista dell’intero Sud Italia. Certamente tutto ciò passa da un elemento essenziale, ovvero che il Porto sia una risorsa di questa Regione e debba rispondere solo alle logiche di sviluppo del territorio e non può essere quindi utilizzato come un “elemento” di baratto per strategie internazionali che alla fine penalizzano la nostra economia. Credo che Gioia Tauro per tutti deve ritornare ad essere un fattore positivo per la Calabria e per l’Italia ed essere, certamente all’interno di un tessuto imprenditoriale, un generatore  di opportunità. Mi spiego meglio: non comprendo come sia possibile consentire la distruzione del porto a causa delle diatribe tra gli azionisti. Il prezzo di tutto ciò lo stanno pagando i lavoratori in prima persona e i calabresi tutti. Vi sono altri soggetti interessati alla panchine del porto, perché non gli viene concesso l’uso? Il ruolo pubblico dovrebbe servire a tutelare gli interessi della collettività, è stato così sino ad oggi? Certamente vi sono tante possibilità che possono innescarsi su Gioia Tauro, ma dobbiamo tutti sapere da che parte stiamo, se tutti vogliamo lavorare nell’interesse del territorio o per altre motivazioni».

Torniamo per un attimo alla politica: che suggerimento darebbe al prossimo governatore della Regione? «Che si occupi totalmente dei bisogni dei calabresi, che risponda al “nobile” mandato della politica, che sia al servizio dell’interesse e del bene pubblico, mettendo alla porta i “padroni e padrini” che hanno massacrato questa regione».

Lei auspica l’inizio di una nuova primavera per i calabresi e per la Calabria. Come e dove crede si possano piantare i semi di questa primavera? «Nella coscienza di ognuno di noi. Dobbiamo innescare una rivoluzione che parta da noi stessi. Riappropriamoci totalmente ed incondizionatamente dell’orgoglio di essere calabresi, anche con le semplici azioni quotidiane, siamo portatori della nostra storia e dei nostri valori, dobbiamo agire tutelando il nostro domani e quindi agendo nella legalità. Iniziamo da semplici gesti, dal non buttare le carte per strada e tutelare e proteggere quelle opere materiali ed immateriali che sono di tutti. Riappropriamoci dei nostri diritti, ma prima espletiamo i nostri doveri di cittadini, rispettando le regole, non chiedendo raccomandazioni e, cosa importante, scegliendo la classe politica per merito, per valori. Con rabbia e determinazione riappropriamoci con dignità della nostra bellezza di essere calabresi. Vogliamoci bene e soprattutto vogliamo bene alla nostra terra, ma con atti concreti, rispettiamoci, guardiamoci con positività ed inneschiamo quella rivoluzione che serve a convincere prima noi stessi e poi gli altri che possiamo ambire al sogno del cambiamento. Siamo noi ad avere la responsabilità del nostro domani e dei sogni delle future generazioni».


Pablo Petrasso


https://www.corrieredellacalabria.it/regione/reggio-calabria/item/157377-de-masi-io-candidato-no-grazie-sono-un-metalmeccanico/

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